Partendo dal lievito si può evitare la dissezione dell’aorta toracica
NewsCristina Calderan è una ricercatrice che da anni lavora con Città della Speranza e ha vinto un premio davvero importante: il terzo posto per la tesi di laurea sulle malattie rare di un concorso istituito dal Lions Club Vigonza – 7 Campanili. Un riconoscimento nazionale che non è solo prestigioso, ma ha un valore particolare perché Cristina, oltre a studiare per lavoro le malattie rare, ne è affetta, la seconda le è diagnosticata da poco.
«A febbraio mi hanno detto che soffro del Morbo di Addison, una rara patologia cronica che colpisce la corteccia dei surreni, due ghiandole posizionate sopra i reni e responsabili della produzione di diversi ormoni». La ricercatrice però non si è fatta abbattere dalla diagnosi e ha pensato che doveva vincere quel premio perché «parlava proprio di me, della mia condizione».
Calderan dal 2015 lavora all’Istituto di Ricerca Pediatrica di Padova nel laboratorio di Genetica ed Epidemiologica Clinica diretto dal professor Leonardo Salviati. Tra il 2018 e il 2022 ha frequentato il corso di dottorato in Scienze Biomediche. Proprio in questo periodo è diventata mamma di Azzurra e ha scritto la tesi di dottorato che le è valsa il terzo posto nazionale, anche se «non è stato semplice seguire il progetto in laboratorio con una bimba piccola».
Il progetto di Calderan e del suo gruppo è innovativo e potrebbe salvare molte vite una volta diventato un protocollo sanitario a tutti gli effetti. In cosa consiste? «Partiamo dal titolo: Sviluppo di modelli di lievito per la validazione di nuove mutazioni patogeniche associate ad aneurisma dell’aorta toracica e deficit primario di Coenzima Q10». La tesi è divisa in due sezioni, la prima riguarda una malattia, l’aneurisma, che può portare alla dissezione dell’aorta toracica, ed insorge anche a causa di mutazioni genetiche. La seconda invece studia il deficit primario di Coenzima Q10, una malattia mitocondriale, anche questa rara.
«Abbiamo usato il lievito di birra, proprio quello della pizza per intenderci. É un organismo unicellulare che a livello genetico ha molte somiglianze con la cellule umane e per questo è un buon modello per analizzare quelle che sono le mutazioni responsabili di determinate patologie». Il lievito viene fatto crescere su terreni gelatinosi con i nutrienti necessari e poi gli viene inserito del Dna di materiale genetico che contiene le mutazioni. Una volta fatto questo si analizza la crescita del lievito in diversi terreni e sulla base di questa si fa una prima valutazione sull’impatto della mutazione. A questo punto si utilizza il microscopio ottico a fluorescenza e si usano dei marcatori fluorescenti verdi e rossi per individuare le strutture interne regolate dal gene mutato. «Abbiamo analizzato davvero tante mutazioni, sono due anni che controlliamo i campioni e facciamo crescere il lievito».
Lo scopo di questo progetto non è strettamente terapeutico, ma vuole «scovare per tempo una possibile dissezione dell’aorta toracica dovuta ad aneurisma, che è asintomatico». E come lo si può fare? «Attraverso lo screening che rileva le mutazioni che possono essere letali. Serve fare prevenzione, servono controlli regolari, misurazione del diametro dell’aorta e poi ovviamente conta lo stile di vita».
La seconda parte della tesi si concentra sempre sulla validazione di mutazioni patogeniche. «Lo scopo è poter curare anche quei pazienti che ad oggi non si possono curare per una diagnosi mancante o tardiva . In questo caso ci siamo concentrati sul Coenzima Q10, che viene somministrato per bocca ai soggetti che ne presentano bassi livelli». ll Coenzima Q10 rappresenta un elemento fondamentale per il corretto funzionamento del mitocondrio, un organello intracellulare che funge da centrale energetica ed è essenziale per mantenere una buona efficienza fisica.
Calderan è molto soddisfatta del progetto che ha portato avanti insieme ai colleghi e dice che «il lievito ha aperto una nuova strada perchè con le cellule umane ci sono spesso complicazioni: non otteniamo risultati chiari o non ne otteniamo proprio. Il modello lievito ha dato invece risposte chiare e semplici che saranno fondamentali per mettere a punto uno screening che potrebbe salvare davvero molte persone».